a cura di Gian Luca Pasini
Se esistesse un misuratore di positività, applicato nel suo sangue e nel suo dna andrebbe a fondo scala. Leonardo Cenci è uno sfrenato katerpillar di ottimismo: passa su tutto, lo annienta e avanza come se nulla fosse. Invece è, eccome: 9 agosto 2012, arriva la diagnosi feroce. “I medici mi avevano pronosticato dai 4 ai 6 mesi di vita: questo, dei 150 cancri che esistono, è il secondo più feroce. Lo combatto da 3 anni e mezzo”. E lo vince: “Sono sempre stato vulcanico, ma ora ancora di più: questo percorso mi ha arricchito dentro. Dare forza a chi sta male e far capire qualcosa a chi sta bene mi fa rendere utile, e rendermi utile alimenta la mia interiorità dandomi la forza di andare avanti. La vita va vissuta per gli abbracci, per semplici gesti che racchiudono ciò che più conta: l’amore. Seguire la sua strada e non farsi trascinare, dominare dai problemi, fa saltare ogni ostacolo”. Il suo si chiama nientemeno che adenocarcinoma al polmone al quarto stadio con metastasi celebrali e ossee. “Quello che avevo 3 anni e mezzo fa ce l’ho tuttora. E’ un male incurabile. Ho fatto 8 cicli di chemioterapia e poi per la metastasi al cervello altre 20 di radioterapia Ora mi sottopongo a una terapia quotidiana “compassionevole”: è una nuova tipologia di chemioterapia molecolare che mi fa assumere 5 pasticconi tutti i giorni, con gli effetti collaterali conseguenti. Tra questi infiammazione al fegato, astenia, stanchezza, problemi all’intestino, diarrea ecc…”. Ma il sorriso, l’ottimismo gli sgorga dentro come accade all’acqua in montagna rende tutto naturale. Naturale comportarsi così e guadagnarsi una quotidianità da gigantissimo. Basterebbe leggere la sua storia senza sapere quello che ha, per non pensare minimamente che ce l’abbia.
UNICO AL MONDO Infatti, al Mondo non esiste alcun paziente con questa diagnosi che conduce una vita del genere. “In agosto l’oncologia medica di Perugia – dice il 44 enne – mi ha portato in Colorado, alla Mason University, per un protocollo di studi al fine di capire il perché io riesca a condurre questo tenore di vita. Al momento, però, non hanno trovato una spiegazione medica, c’è qualcosa che va oltre le terapie. Cosa? Come me lo spiego? Sono un ex maratoneta (ne ha corse sette, ndr), quindi abituato agli sforzi alla distanza, alla resistenza. E poi c’è di mezzo il fattore mentale, l’approccio: io cancro l’ho preso come una sfida e non come una tragedia. L’amore per la vita, il coraggio, l’entusiasmo fanno la differenza: anche con il cancro si può vivere. Le mie giornate? Sveglia alle 6, integrazione, colazione corposa, in palestra dalle 7.30 alle 9, poi lavoro per l’associazione avanti tutta (http://www.avantitutta.org, ndr)”.
Nome che è tutto un programma. Con Leonardo c’è tutto un perché: “Sono le prime due parole che ho detto a mio padre quando mi sono risvegliato dopo due giorni in terapia intensiva. Quando ho aperto gli occhi ho visto i suoi che erano terrorizzati e per tranquillizzarlo gli ho detto: avanti tutta”. Imperiale. Forza che trasmette comunque mettendola al servizio delle persone che hanno la fortuna di poterlo incontrare: “Vado nelle scuole e negli ospedali a dare forza, a iniettare entusiasmo e positività: io non un marziano, dipende tutto da come affronti la vita. Contano la testa e lo stile di vita: dal mangiare poco e spesso, tutto biologico, con poca carne che alimenta il cancro, fare attività motoria. Dico sempre che noi siamo quello che pensiamo, mangiamo, facciamo”. E, lui che è di Perugia, fa il motival coaching in tutta l’Umbria.
MARATONA DEL GIUBILEO Impegnato a 360°, anche su strada: “Il 18 marzo sono stato al Senato della Repubblica dove il presidente del Coni, Giovanni Malagò, ha organizzato una conferenza stampa: correrò con lui il 10 aprile alla maratona del Giubileo, a Roma. Assieme percorreremo i primi 10-11 km, poi l‘organizzatore della maratona di Roma, Enrico Castrucci, ci farà uscire dal circuito riservandoci un gonfiabile per un traguardo speciale: lì Giovanni mi lancerà come primo italiano della storia che corre un maratona con un cancro”. E’ già un simbolo, lo diventerà per tutta l’Italia.
IL SOGNO NEL CASSETTO E sogna di realizzare le Oncolimpiadi, contribuire così ad espandere e a rafforzare il messaggio che ogni giorno cerca di diffondere: il cancro si può combattere con il potere della mente. “Due anni fa a Bruxelles è stato presentato un progetto per la 1ª edizione delle Oncolimpiadi. Dopo quelle dei normodotati e degli atleti con disabilità, voglio mostrare che anche i malati di cancro possono esserci. Magari a Roma nel 2024, sperando che la capitale possa diventare sede olimpica”. Prima del suo sogno ci sarà la sua “prima”: il 6 novembre alla maratona di New York che era già scritta, evidentemente, nel suo destino. “La stavo preparando nel 2012, poi a luglio ho iniziato a sentire qualche difficoltà, i muscoli non rispondevano, avevo capito che c’era qualcosa che non andava. Poi, a causa del maltempo, quella maratona fu annullata: non avrei potuto farla lo stesso, la farò ora”.
Altro che fuori scala, quello strumento con lui andrebbe fuori giri.
Alberto Francescut